L’odissea di una migrante in “Lampedusa beach”

Un intenso monologo sull’emigrazione clandestina, la testimonianza di Shauba, una giovane africana inghiottita dal mare al largo dell’Isola dei Conigli. Il suo annegamento dà vita a un’odissea sott’acqua in cui l’arrivo al fondo è un lungo respiro elevato a racconto
Lampedusa beach di Lina Prosa al Positano Teatro Festival

“Lampedusa beach” è il primo dei tre testi che, insieme a “Lampedusa Snow” e “Lampedusa Way”, compongono la Trilogia del naufragio di Lina Prosa, una poetica interpretazione del dramma dei migranti, che ha debuttato alla Comédie-Française di Parigi già nel 2007, ripreso con successo in questi ultimi tre anni anni anche in Italia grazie al Teatro Biondo di Palermo, che ha prodotto l’intera Trilogia per la regia della stessa autrice.

 

A riproporlo ancora oggi è il Positano Teatro Festival, nella suggestiva cornice del sagrato della Chiesa Madre della cittadina campana. E il mare a vista fa eco alle parole delle vicende tragiche del fenomeno migratorio dei popoli del Mediterraneo verso l’Europa, che le cronache, purtroppo, raccontano ancora abbondantemente. Nel testo dell’autrice è la parola poetica a creare altre vie di conoscenza capaci di superare le frontiere della realtà. L’esperienza del “naufragio” si fa metafora del presente, ripropone i grandi interrogativi del destino umano al di là delle discriminazioni, delle divisioni, degli scontri culturali e sociali. “Lampedusa beach” (scritto nel 2003) racconta la drammatica odissea di una giovane donna africana, Shauba, che naufraga insieme ad altri clandestini al largo della tristemente nota Isola dei Conigli. Un volto anonimo, come quello di tanti a noi sconosciuti rimasti senza identità, inghiottiti dal mare cercando di raggiungere, invano, le nostre coste.

 

Il mare è il sepolcro di Shauba e il tempo della discesa del suo corpo in quegli abissi coincide con il tempo della scrittura. Il suo annegamento dà vita, infatti, a un’odissea sott’acqua in cui l’arrivo al fondo è un lungo respiro elevato a racconto. Un recitare in apnea è la condizione richiesta dall’autrice al corpo e alla voce di Elisa Lucarelli, interprete straordinaria, capace di trascinarci nel “sogno” allegorico della protagonista immersa in quell’elemento primigenio, territorio senza più suoni, che diventa spazio di memoria, di nostalgia e di speranza, di angoscia e disperazione, dove vita e morte si ricongiungono. Il lento sprofondare nel fondo sabbioso prima dell’agonia finale le permette, boccheggiando, di rievocare il suo forzato viaggio epico, iniziato, alla partenza, dalle raccomandazioni dell’amata zia Mahama. Dall’imbarco, con solo i suoi grandi occhiali da sole che le permettono di osservare gli altri “compagni di viaggio” sul barcone, il racconto del sogno di una vita migliore si scontra con l’ingiustizia del mondo, con la disumanità degli scafisti che, mentre cercano di violentare il suo corpo, fanno rovesciare la scialuppa, scaraventando tutti in acqua.

 

E intanto che lei annega affiorano altri ricordi personali, parla coi pesci, interpella Mahama, i capi di Stato, Dio. «Laggiù, dove anche il mare si ferma – scrive nelle note di regia l’autrice –, la fine coincide con l’inizio: appare la Lampedusa felice, balneare, la terra dell’accoglienza. La visione di un mondo “rivoltato” trasforma la fine di Shauba in un evento rivoluzionario. Il suo atto finale è dunque politico. Chiama in causa il pubblico e la sua coscienza. Riduce a zero la distanza tra il possibile e l’impossibile».

 

Sulla grande piattaforma inclinata, frastagliata di materia terrosa che ricorda quella lavica, che è scoglio di partenza e di approdo, e fondo marino, il nero della scena contrasta col bianco del vestito di Shauba e dei fondali a strati delle pareti che riproducono, nel trascolorare delle luci, l’ondeggiamento del mare di cui sentiamo anche il rumore. La discesa negli abissi marini che, con la sua intensa e sospesa interpretazione, compie Elisa Lucarelli, è carica di segni vocali e fisici giocati sul filo sottile del distacco e dell’autenticità, del sogno e del reale. E fa di questo argomento d’estrema attualità, una partitura lirica e lucida, di vento e di parola, che ci soffia addosso con forza, scuotendoci.

 

“Lampedusa beach” di Lina Prosa, con Elisa Lucarelli; scene, luci e immagini di Paola Calafiore, costume di Mela Dell’Erba, regia di Lina Prosa. Produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo. A Positano per il Positano Teatro Festival.

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